In un paese sempre più vecchio come l’Italia, in cui la Regione Piemonte è seconda forse solo alla Liguria per numero di anziani sul totale della popolazione, le politiche per gli anziani sono un settore strategico per garantire la sostenibilità della sanità e del welfare, essendo gli anziani i principali fruitori di questi servizi. Lo sa bene Monica Canalis, consigliera regionale del Partito Democratico e candidata alle Regionali dell’8-9 giugno, che in questi cinque anni si è più volte occupata del tema della non autosufficienza. Parliamo di pensionati, ma non solo: il problema riguarda anche le famiglie con un disabile a carico.
Monica Canalis, partirei dai numeri per inquadrare il problema, anche e soprattutto per il futuro
In Italia le persone con più di 65 anni sono complessivamente 14 milioni e 177 mila, il 24,1% dell’intera popolazione. Gli ultraottantenni, in particolare, sono 4 milioni e 530 mila, pari al 7,7%. Nello specifico i non autosufficienti, che sono uno dei focus del mio lavoro degli ultimi cinque anni, sono 3.8 milioni: è un tema che considero prioritario per la pubblica amministrazione ed il terzo settore, perché l’attuale andamento demografico tenderà ad accrescere il numero. Questo quadro richiede preparazione per arrivare pronti: ne va sostenibilità del sistema sanitario e del welfare, ma è anche una questione di civiltà perché oggi molte di queste persone non ricevono la dovuta assistenza e quindi non possono godere dei diritti di piena cittadinanza: sono un po' abbandonati
Cosa sta succedendo concretamente?
Siccome l'ente pubblico non soccorre tutte queste persone, molti nuclei familiari si impoveriscono dovendosi fare carico delle persone non autosufficienti al proprio domicilio o in una Rsa. Le famiglie sono gravate da questo peso e spesso sono sole: in molti casi le figlie/madri sono costrette a rinunciare alla dimensione lavorativa, perché questo accade anche nel caso di un giovane con disabilità.
C’è il rischio reale che una fetta della popolazione sia abbandonata a sé stessa, oppure alla famiglia?
Negli anni passati c’era la convinzione diffusa che l’assistenza dei non autosufficienti fosse solo a carico della famiglia: oggi a questo si aggiunge la debolezza dei servizi pubblici di supporto. E’ una regressione della società.
Canalis, quali sono le azioni che si possono mettere in campo?
La prima urgenza è aggiornare i modelli di cura, ripensare sia le Rsa che la domiciliarità. Dobbiamo smettere di considerare il malato come un cliente o come oggetto di cure, ma va considerato come una persona a cui va riconosciuta la dignità. La priorità è potenziare la tutela domiciliare.
Perché?
Oggi c’è uno squilibrio delle cure a vantaggio della residenzialità: la priorità è inserire la domiciliarità nei LEA del Servizio Sanitario Nazionale, con la stessa quota della residenzialità. Deve essere data alla famiglia la vera libertà di scelta tra ricovero residenziale ed assistenza domiciliare. In molti casi per le Rsa la sanità paga una parte della retta: allo stesso modo ci deve essere un contributo anche a domicilio. Al momento sono troppe poche le ore di Assistenza Domiciliare Integrata: oltre alle visite dell’infermiere e del medico, serve un contributo congruo ad esempio per garantire l’assistenza tutelare come la badante.
Torino fino a poche anni fa era un esempio a livello italiano per l’attenzione sul tema della non autosufficienza.
Nel capoluogo c’era un modello iniziato nel 2003: all’epoca in Comune c’era una giunta di centrosinistra ed in Regione una di centrodestra, come ora. In particolare in Sala Rossa c’era l’assessore ai Servizi Sociali Stefano Lepri, mentre a Palazzo Lascaris c’era l’assessore alla Sanità Antonio D’Ambrosio. Pur avendo un colore politico diverso, diedero vita a un modello ammirato in tutta Italia, che prevedeva l’assistenza domiciliare per persone non autosufficienti con contributi sanitari. Questo permetteva di aiutare di più le famiglie.
Ora cosa è successo?
Con l'avvento della giunta Cirio questo modello è stato completamente smontato per una questione di differenza di colore politico: Cirio, Caucino, Marrone e Icardi hanno azzerato i fondi sanitari diretti alla Città di Torino per l'assisnteza tutelare domiciliare, sostenendo che questo configura una disuguaglianza con il resto del Piemonte. Invece di fare questo avrebbero dovuto estenderlo: oggi gli assegni di cura domiciliari, nel capoluogo piemontese, sono finanziati solo con fondi sociali come nel resto del Piemonte. Sono di importo inferiore e sono anche erogazioni che non configurano un diritto esigibile. Un vero e proprio attacco ad una storica innovazione sociale.
Torniamo ai numeri. Quale è la situazione attuale sulla residenzialità?
Oggi in Piemonte ci sono un milione e 76mila persone over 65, pari al 25,4% popolazione: la media è più alta rispetto a quella nazionale. 36mila vivono nelle Rsa: di questi circa 15mila hanno una convenzione per pagare la retta. Io credo si debba aumentare la spesa sanitaria regionale per questa convenzione: oggi in Regione sono previsti su questo capitolo 268 milioni di euro annui. Noi chiediamo che non si possa scendere al di sotto di questa cifra, anzi è necessario aumentarla: ci sono più famiglie che hanno bisogno della convenzione. E’ necessario aumentare e rendere obbligatoria la spesa sanitaria regionale per le convenzioni nelle Rsa.
E dal punto di vista dei criteri sociali di accesso?
Andrebbero rivisti: quando un anziano ha bisogno di assistenza va all’Asl, dove c’è un’unità di valutazione geriatrica che rilascia la certificazione di non autosufficienza. Questo documento viene rilasciato non solo in base ai criteri sanitari, ma anche sociali. Questi ultimi andrebbero aggiornati, perché oggi rimangono fuori molti piemontesi che non ce la fanno a pagare 3mila euro al mese per la retta in Rsa.
C’è qualcosa che andrebbe rivisto a suo avviso Canalis nel modello di cura delle Rsa?
Il minutaggio previsto dalle D.G.R. è insufficiente e deve essere potenziato. Oggi, ad esempio, sono previsti troppi pochi minuti per l’igiene o per imboccare una persona: il modello è stato pensato nel 2013/2014, quando nelle Rsa c’erano più autosufficienti. E’ necessario intervenire sulle dimensioni delle Rsa, evitare residenze troppo grandi che diventano anonime, è sull’integrazione socio sanitaria: è necessario che ci siano educatori, anche una presenza effettiva di medici di medicina generale. In troppe Rsa non c’è un presidio sufficiente.
Qual è il quadro delle RSA, dal punto di vista geografico?
Sei Asl, su 12 presenti in Piemonte, hanno un numero di convenzioni molto basso: To5, Vercelli, Biella, Asti, Alessandria e Cuneo 1 hanno poche convenzioni con le Rsa, cioè in questo caso la maggioranza dei posti sono a carico economicamente delle famiglie. Oltre ad aumentare la spesa sanitaria per queste convenzioni, dobbiamo renderle anche un po’ più omogenee. E’ tema di civiltà: trattare i cittadini non come scarto, ma come soggetti con pieni diritti.
Come si può migliorare la situazione nelle Rsa?
Bisogna formare più medici ed infermieri: nelle nostre strutture scarseggiano. Poi si deve riformare il modello di cura, trovare delle nuove formule. Si stanno affermando in alcune parti del Piemonte modelli di Rsa come centri multiservizi. Che non fanno solo ospitalità h24, ma anche consegna di pasti a domicilio a coloro che non riescono a cucinare, ma vivono da soli: uno step intermedio. Un altro servizio fornito è il centro diurno: un anziano non può stare tutto il giorno da solo e qui trova iniziative e coinvolgimento, ma di notte può dormire a casa sua. Queste realtà sono molto interessanti perché consentono all’anziano di vivere più a lungo nella sua abitazione ed ambiente familiare, il ricovero avviene come extrema ratio, quando non è più possibile farne a meno.
Le cure domiciliari sono sinonimo di benessere personale.
Si, le cure domiciliari garantiscono una migliore qualità della vita per l’utente e la famiglia: c’è un costo inferiore poi a carico della collettività, oltre a ridurre i ricoveri ospedalieri inappropriati. Tutto questo concorre al benessere delle persone, non solo sanitario ma anche relazionale.
Quali sono le differenze tra il modello assistenziale piemontese e, ad esempio, quello lombardo?
In Piemonte l’assistenza dei non autosufficienti è prevalentemente gestita dal Terzo Settore, quindi dal no profit. Se la giunta non provvederà a rendere sostenibile questo ambito rispetto alle tariffe, alla presenza del personale e al modello di cura, il no profit cederà il campo ad enti privati con scopo di lucro che sono finanziariamente più strutturati. Il modello piemontese è positivo e va salvaguardato: nei CdA spesso ci sono figure del territorio, poi tutti gli utili – essendo enti del Terzo Settore - vengono reinvestiti.
Cosa è successo sotto la giunta Cirio?
In questi anni abbiamo assistito a troppa leggerezza su Rsa e domiciliarità in Piemonte: ci sono quasi 15mila persone, già in possesso di certificazione di non autosufficienza, in lista d'attesa per un progetto residenziale o domiciliare. In questi anni non si è affrontato con forza l’argomento, ma deve essere una priorità pena l’intasamento degli ospedali e il sovraccarico delle famiglie.